MEDITARE: PRESENZA, ACCOGLIENZA, ASCOLTO di Padre Andrea Schnöller

Gli inviti alla meditazione e a uno stile di vita meditativo si fanno sentire sempre di nuovo. Ci raggiungono da pulpiti e cattedre diversi e assumono il tono dell’urgenza. Ma è un invito che ci raggiunge anche da una parte profonda del nostro essere, e risponde al bisogno che ogni persona avverte di dare un orientamento significativo alla propria vita. «Il silenzio è la grande rivelazione», afferma Lao Tzé. E l’esigenza ­– e spesso anche l’esperienza – di molte persone sembra, oggi, confermare questa categorica affermazione.

«C’è, in qualche luogo all’interno dell’essere umano un’attesa mai interrotta né persa» – si legge nella nota Lettera da Varsavia della Comunità di Taizé, pubblicata a Londra in occasione dell’incontro Europeo del 28 dicembre 1981. «Essa – prosegue – è di Dio.

Anche per chi non crede, questa attesa è là, implicitamente. Per il credente essa è speranza di ciò che non si vede. Essa è ancora, per il cristiano, attesa contemplativa di Gesù Cristo che ama, prega, riconcilia in noi. In quest’attesa, a chi ascolta Dio di giorno come di notte, alla fine viene risposto: Shalom! Pace».

Naturalmente si tratta di capire bene che cosa s’intende con «silenzio meditativo». Esso comporta sicuramente un clima di raccoglimento e di silenzio esteriore, ma è anche molto di più. I suoi ingredienti fondamentali sono la presenza al reale, la consapevolezza accogliente, il religioso ascolto di ciò che realmente s’incontra e si vive. «Shemà, Israel!», Ascolta, Israle! (Dt 6,4) e: «Se tu mi ascoltassi!» (Sal. 81,9). Ma Dio si ascolta, ascoltando la vita.

Riporto volentieri questa mezza paginetta di Carol Wilson, insegnante americana di meditazione di consapevolezza: «Ho passato parecchi anni della mia pratica di meditazione in attesa del momento in cui, una volta per tutte, sarei approdata al risveglio. Pensavo che questo evento avrebbe avuto luogo mentre ero immersa in uno stato di meditazione profonda, dopodiché il resto della mia vita sarebbe stato tutto una crociera. Ora, se noi consideriamo la pratica meditativa in questo modo, ossia la concepiamo come un insieme di attività culminanti in un’esperienza specifica e idealizzata – l’illuminazione – dopo la quale la vita scorre lineare e chiara, noi rischiamo di farci sfuggire l’essenza della pratica. Ed è poi facile che ci sentiamo scoraggiati e confusi se vediamo che la chiarezza e il potere dell’esperienza meditativa non si trasferiscono automatica­mente nella nostra vita attiva reale. Per me fu un enorme sollievo sbarazzarmi di questa aspettativa non realistica. Allorché ci rendiamo conto che la pratica meditativa più profonda è la coltivazione di un atteggiamento e non la ricerca di un’esperienza speciale, allora tutta la nostra vita si apre e ogni attività può diventare un veicolo di risveglio.

La vita è fatta di momenti. La pratica di consapevolezza è sem­plicemente la coltivazione dell’abilità di incontrare qualunque cosa emerge di momento in momento con totale presenza e a cuore aperto».[1]

Al suo ritorno dalla Palestina, san Francesco d’Assisi trova i suoi frati in stato di subbuglio, contestazione e di rivolta. Non intendono più seguire la regola di vita da lui proposta e che il signor papa, Innocenzo III, confermò. Francesco entra in una crisi spirituale profondissima, si ritira su La Verna, si mette da parte, rimette la guida della comunità da lui fondata nelle mani di fra Cattaneo, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ha perso la serenità e la pace interiore. Nell’austera solitudine di La Verna, il Venerdì Santo medita sulla Passione del Signore, e mentre s’immerge così tra le lacrime nelle piaghe del Signore crocifisso, ecco tutto all’improvviso un’impennata d’illuminazione. Dirà a frate Tancredi, giunto a La Verna per tentare di ricondurlo tra il frati: «Sì, ora posso venire. La pace mi sorride ancora. Perché il Signore mi ha rivelato che allora l’uomo perviene alla piena realizzazione della verità di se stesso, non quando insegue un nobile ideale, per quanto grande e santo, ma quando si dimostra capace di accogliere la realtà, tutta la realtà, senza nulla escludere, così come è, con perfetta pace interiore».[2]

Tutto questo – sia l’affermazione di Carol Wilson, sia la testimonianza di Francesco – è meraviglioso e mi convince intimamente. Meditare è imparare ad accogliere la realtà, il qui e ora, così come è, con pienezza di pace interiore e ascolto a cuore aperto. È questa attitudine che rende possibile la «visione profonda», ossia il discernimento con fondamento nella realtà e la retta azione.

Nel suo straordinario libretto Biografia del Silenzio, Pablo d’Ors lo ribadisce con estrema efficacia: «Ho cominciato a sedermi a meditare in silenzio a mio rischio e pericolo… La semplicità del metodo – sedersi, respirare, zittire i pensieri… – e, soprattutto, la semplicità del suo proposito – riconciliare l’uomo con quello che è – mi hanno sedotto fin dall’inizio… Ho subito compreso che si trattava di accogliere di buon grado quel che arrivasse, qualunque cosa fosse».[3]

Padre Andrea Schnöller
Relatore alla Tavola Rotonda
Treviso Yoga Day 2016
Auditorium S. Croce 15.00 – 17.00

[1] C. Wilson, Do I want to be comfotable or do I want to be free?, in Inquiring Mind, 15,2, 1999, p. 35, cit. in C. Pensa, L’intelligenza spirituale, Ubadini, Roma 2002, p. 10
[2] Éloi Leclerc, La sapienza di un povero, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 2007, p. 144.
[3] P. d’Ors, Biografia del silenzio, Vita e Pensiero, Milano 2014, p. 9.

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